La Rianimazione Cardiopolmonare e l’uso del defibrillatore

In questi ultimi 20 anni la diffusione dei corsi per la formazione alla rianimazione cardiopolmonare (R.C.P.) hanno avuto una larghissima diffusione, rivolgendosi a molteplici settori, sanitari e non. Basti ricordare che dal 2003 (D.M. 388/03) in tutte le aziende è obbligatoria la presenza di uno o più incaricati al primo soccorso aziendale e cha la formazione per questa figura prevede 4 ore di addestramento specifico proprio per attuare le manovre salvavita di massaggio cardiaco e disostruzione delle vie respiratorie (anche se per questo ultimo aspetto continuano ad essere presenti gravi carenze metodologiche delle quali parleremo in altri articoli). In concomitanza con la diffusione di questi corsi, sempre più persone seguono anche i corsi sull’uso del defibrillatore semiautomatico (D.A.E.), strumento sempre più presente sul territorio, sulla cui diffusione all’utilizzo N.R.C. si è sempre battuta anche attraverso attività formative e divulgative quali corsi e convegni.


Il D.A.E., appunto, è lo strumento salvavita che da pochissimi anni è obbligatoriamente presente nella Associazioni Sportive Dilettantistiche e, si spera a breve, sarà presente in molte altre strutture della Pubblica Amministrazione, sui treni, nelle scuole ecc. Nasce quindi sempre più spesso la domanda, da parte di coloro che frequentano i corsi: “che differenza esiste tra fare la R.C.P. e l’uso del D.A.E.?”

Cerchiamo quindi di fare chiarezza

. La R.C.P. è una manovra meccanica di sostituzione parziale all’azione di pompaggio naturale del cuore che si è fermato per motivi di tipo elettrico. Quindi, a seguito di una valutazione codificata di valutazione sull’assenza dei parametri vitali (coscienza, respiro, movimenti), qualsiasi cittadino deve sapere che il cervello inizia molto velocemente a degenerarsi. Le cellule delle quali è costituito, infatti hanno un’autonomia all’assenza di ossigeno di 6-8 minuti circa e poi muoiono irrimediabilmente, cioè non hanno più la possibilità di rigenerarsi

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Quindi è evidente che applicare subito le manovre di compressione toracica determinando un pompaggio artificiale del sangue ossigenato verso la testa è finalizzato a prolungare i tempi di sopravvivenza del cervello in attesa che arrivi “l’elettrauto” cioè lo strumento che elettricamente può far ripartire il cuore.

Se è chiaro che si sta svolgendo una determinante azione di ossigenazione meccanica (ma non elettrica), sarà anche chiaro che raramente le sole compressioni toraciche faranno ripartire il cuore (non è certo impossibile, però qui stiamo descrivendo un concetto). Essendo che il cuore, come abbiamo detto, funziona grazie ad impulsi elettrici, è importante sapere che il più delle volte quando l’attività meccanica è assente (arresto cardiaco) è invece presente un’attività elettrica di “vibrazione” scoordinata delle cellule cardiache definita come Fibrillazione Ventricolare, inefficace ai fini della spinta del sangue.

L’utilità del defibrillatore semiautomatico è proprio quella di intervenire su questo caos elettrico nel tentativo di interromperlo (c’è una fibrillazione e si interviene elettricamente de-fibrillando). Grazie agli studi degli ultimi anni sempre più numerosi sui successi del trattamento dell’arresto cardiaco extraospedaliero, è emerso chiaramente che è determinante l’arrivo veloce di un D.A.E ma allo stesso tempo che la possibilità che lo strumento riesca a convertire un ritmo inefficace in uno efficace dipende molto anche dalla condizione di ossigenazione del cuore. Quindi, se è vero che il massaggio cardiaco è fondamentale per il cervello, sempre più importanza ha assunto anche l’ossigenazione che il cuore stesso riceve durante la R.C.P. In pratica un cuore ben ossigenato risponderà molto più facilmente allo strumento elettrico.

Quindi si nota come le due attività, R.C.P. ed uso del D.A.E. siano complementari. Questo prevalentemente anche alla luce che nella realtà difficilmente ci sarà un D.A.E. subito disponibile: si troverà, se siamo fortunati, al piano superiore di un’azienda, a 200 metri nella spiaggia, sarà portato tra 10 minuti da un’ambulanza.

Risulta fondamentale, in attesa del suo arrivo e della sua applicazione, continuare ad ossigenare cervello e cuore senza farsi condizionare dal film televisivi nei quali dopo 4 compressioni toraciche il paziente si sveglia e dice: “come sto bene!”. Non dimentichiamo che il 70% circa degli arresti cardiaci avviene a casa ove, purtroppo l’arrivo del D.A.E. richiede sempre tempi lunghi. Ecco perché la chiave di svolta sulla sopravvivenza sarà avere apparecchi nei condomini, proprio per il problema legato al tempo. Avendolo subito disponibile (arresto cardiaco in strutture dotate di D.A.E.) si inizierà la R.C.P. e si applicherà lo strumento non appena giunto sul posto, presumibilmente nel giro di 1-2 minuti.


La diffusione dei D.A.E.

ha dimostrato elevatissimi tassi di sopravvivenza, però, nelle strutture in cui lo stesso sia stato usato dai presenti. Sempre più spesso si trovano D.A.E. “appesi” al muro e le persone presenti negli ambienti circostanti si dimostrano quasi timorosi verso il suo utilizzo. Questo è il vero limite culturale contro il quale N.R.C. si è sempre battuta: informare e formare tutti all’uso dello strumento grazie alla facilità d’uso, alla guida vocale che indica come applicarlo, alla mancanza di pericoli connessi alla gestione. Dopo anni di battaglie, a breve sarà emanata una nuova Legge (siamo alla sesta dal 2001!) che metterà su carta di privilegiare le necessità del paziente in arresto cardiaco (stato di necessità appunto, art. 54 C.P.) indicando di applicare lo strumento anche se non si sia in possesso del tesserino di frequenza di un corso specifico.